Il duomo di Ravello, edificato nell’ XI secolo e dedicato a Santa Maria Assunta, è una basilica di derivazione benedettino-cassinese con tre navate scandite da un doppio colonnato, transetto, cripta sottostante ed absidi estradossate.
Con il passare del tempo la basilica si arricchì di opere insigni come l’ambone Rogadeo (prima metà del XII sec.), le valve bronzee (1179), il pulpito (1272) e il ciborio (1279). Inoltre le pareti del tempio dovettero essere affrescate, come mostrano le immagini presenti nella navata destra.
A partire dal 1631 fu costruita la cappella di San Pantaleone, patrono della città, per dare una più degna collocazione alla reliquia del suo sangue, conservata fino ad allora a sinistra dell’altare maggiore, “in cornu epistulae” .
Nel XVIII secolo l’edificio, in uno stato di forte degrado, assunse una candida veste barocca, che ne modellò le superfici con membrature e volute in stucco, accordando il sacro tempio ai gusti del tempo. In un documento, inviato al re Carlo di Borbone il 28 luglio 1750, il capitolo fece presente la necessità di un “forte riparo” della chiesa, che minacciava “da lungo tempo rovina”. I lavori, finanziati con un contributo reale provenienti dalla vendita di due colonne in verde antico, iniziarono solo negli ultimi anni del vescovado di mons. Chiarelli (1742-1765).
La navata centrale, illuminata da finestroni mistilinei, fu coperta da una volta a botte, le cui spinte vennero bilanciate all’esterno da massicci contrafforti. Volte in pietrame marcarono anche le campate delle navate laterali mentre diverse colonne furono inglobate in pilastri “in fabbrica”, eretti a sostegno delle nuove strutture. Quest’ultimo intervento portò alla decurtazione dell’ambone del Vangelo nella sua parte terminale: alcuni pezzi furono riutilizzati nella cattedra vescovile, altri, portati in un primo momento nel Palazzo Episcopale, vennero trasferiti a Palazzo Rufolo.
Nel 1773 il ciborio di Matteo di Narni, donato nel 1279 da Matteo Rufolo e posto al centro del transetto, fu smontato per le cattive condizioni statiche. Il tempietto era costituito da quattro colonne che sorreggevano quattro architravi, sormontati agli angoli da sculture raffiguranti i simboli degli evangelisti.
Un doppio ordine di colonnine, disposte rispettivamente lungo un perimetro poligonale e circolare, si innestava sulla struttura e terminava in alto con il tondo dell’Agnus Dei. L’obiettivo di mons. Tafuri era, in realtà, quello di restaurare l’arredo marmoreo nelle sue parti costitutive, per poi rimetterlo “in opera” nella sua collocazione originaria. Il progetto, purtroppo, rimase solo nelle intenzioni, come testimoniano i resti conservati nel Museo del Duomo. Gli architravi vennero utilizzati come gradini nella Cappella di San Trifone e nella cattedra vescovile, il bue ed il leone furono invece collocati sulla fontana della piazza omonima, già “platea S. Adiutoris”, e lì rimasero fino al 1975, quando vennero trafugati.
Alla fine del XVIII secolo anche il portico della facciata, probabilmente coperto con tre cupole, che si elevavano in corrispondenza delle porte, fu demolito perché “crollante”. Due gradinate laterali in marmo bianco, rimosse alla metà dell’Ottocento per far posto alla scala centrale, ne costituivano l’accesso.
I lavori eseguiti negli ultimi anni del Settecento costituirono gli ultimi interventi significativi curati dal Reverendo Capitolo della Cattedrale. La struttura rimase così inalterata fino al Novecento, secolo che avrebbe riservato alla basilica, dichiarata Monumento Nazionale con Decreto Reale del 3 gennaio 1941, non poche modifiche, dovute al fascino dell’indagine archeologica e del ripristino stilistico.
Nel 1931 i restauri, condotti dalla Soprintendenza ai Monumenti di Napoli, sotto la direzione del prof. Gino Chierici, diedero alla facciata un carattere ibrido, segnato dalla commistione di elementi medievali e settecenteschi.
I lavori di restauro, iniziati nel 1973, hanno invece ripristinato le linee romaniche nelle navate, lasciando intatta la veste barocca del transetto. Le volte in pietrame sono state demolite, così come i pilastri “in fabbrica” . Le capriate lignee della navata centrale sono state realizzate ex novo, riutilizzando i gattoni del settecento, mentre le mezze capriate laterali, a consolidamento della struttura, sono in cemento armato. Anche l’accesso al presbiterio è stato profondamente modificato con la demolizione della balaustra e della scala marmorea centrale, inserita su un gradinata medievale. Stessa sorte è toccata alla cattedra vescovile, assemblaggio settecentesco di elementi medievali, non privo di dignità artistica. Due rampe laterali hanno permesso l’accesso interno alla cripta mentre i tre occhioni della facciata, aperti nel corso del precedente restauro, sono stati tamponati. Un pavimento in marmo grigio ha invece sostituito i quadroni in marmo bianco e grigio delle navate, messi in opera nel 1901.
Solo nella seconda metà degli anni novanta, con una successiva campagna di lavori, dopo interventi di impermeabilizzazione e di canalizzazione delle acque meteoriche, si è provveduto alla pitturazione delle navate e del transetto. Gli amboni hanno ritrovato l’antico splendore grazie ad un accurato restauro, mentre, nella cappella di San Pantaleone, riportata all’originario colore verde ramino, il dossale centrale in marmi policromi e le lesene laterali sono stati sottoposti ad interventi di pulitura e di consolidamento. La scala di raccordo tra aula e transetto è stata ripresa ed integrata con elementi geometrici in cotto e marmo.
Nella Chiesa del Corpo di Cristo, a sinistra della basilica, il recupero dell’abside trecentesca, nel rispetto della stratificazione barocca, e della “Via Tecta”, presente tra le due strutture architettoniche, testimoniano come le soluzioni del restauro vadano cercate senza pregiudizio e tradotte con gusto e sincerità (fig.13).
L’antica sagrestia, edificata nei secoli XVII-XVIII sui ruderi della Curia, è stata destinata a cappella feriale. Al suo interno sono esposte alla venerazione le preziose icone orientali del Megalomartire Pantaleone, il cui culto è diffusissimo nella Chiesa d’Oriente.
Sulla controfacciata della navata centrale è stato collocato l’organo, realizzato dalla bottega d’arte organaria Ponziano Bevilacqua di Torre de’Nolfi (AQ) mentre un sistema d’illuminazione digitale ha permesso una piena valorizzazione degli interni.
© L.Buonocore, Il Duomo di Ravello – profilo storico-artistico di un monumento, 2004