Le valve bronzee, opera di Barisano da Trani, furono realizzate nel 1179, su commissione del nobile ravellese Sergio Muscettola, come testimonia l’iscrizione dedicatoria, posta sul battente di sinistra.
Un’altra iscrizione si trova sulla formella raffigurante San Nicola, ove il committente, in piccole proporzioni, è prostrato ai piedi del Santo Vescovo di Myra. Il donatore apparteneva alla famiglia Muscettola “de Iordani”, distinta dall’altro ramo dei Muscettola “de la Rocca”. La cattedrale, “Gerusalemme terrena”, prefigurazione di quella celeste, aveva con la porta in bronzo il degno ingresso. Il ciclo iconografico ne modellava le superfici, rendendola “Biblia pauperum”, che accoglieva il fedele e lo educava con il Verbo diventato immagine.
Barisano era uno scultore specializzato nel bronzo, plasmato con virtuosismi grafici da orefice, come mostrano i cerchi fogliati e i motivi fitomorfi delle cornici e delle formelle decorative. L’autore eseguì anche la porta occidentale della cattedrale di Trani e il portale settentrionale del Duomo di Monreale, in cui compare la firma “Barisanus Tranensis”.
La porta ravellese è costituita da due battenti in legno su cui sono affisse, in modo quasi speculare, le 80 formelle, di cui 54 figurate e 26 decorative. Le giunture sono coperte da fasce ornamentali, raccordate da borchie piramidali o circolari, decorate con motivi vegetali e fissate alla struttura da grossi chiodi.
La tecnica utilizzata nella realizzazione delle formelle è quella del bassorilievo, via di mezzo tra l’incisione orientale e l’altorilievo del romanico occidentale. Il bronzo fuso era versato in stampi di gesso e sabbia, ricavati da modelli in cera, dove veniva plasmato nei modi desiderati.
Le figure rivelano in modo inequivocabile il lessico bizantino di Barisano, nei panneggi, nelle positure, nei tratti iconografici, tradotti con un modellato che sbalza la materia e dona effetti di grande evidenza plastica.
Gli echi e le suggestioni dell’Oriente bizantino dovevano essere molto forti in una città come Trani, che le vie del mare aprivano alla scintillante Bisanzio e alla Serenissima, emporio orientale e proiezione occidentale di Costantinopoli.
Nella prima fila del portale, tra angeli inginocchiati, è rappresentata la “Maiestas Domini”: Cristo, inquadrato in una mandorla tra i simboli apocalittici dei quattro evangelisti, è seduto in trono con i piedi nudi poggiati su un cuscino, nell’atto di benedire “alla latina”, cioè con indice e medio distesi. Con la mano sinistra regge un codice aperto recante l’ iscrizione latina, tratta dal Vangelo di San Giovanni, “Ego sum Via, Veritas et Vita”.
Nella seconda fila, la “Deposizione” è posta tra le formelle raffiguranti gli apostoli Tommaso, Giovanni, Giacomo Maggiore e Simone. La croce, privata del suo divino abitatore, fa da sfondo alla scena: Giuseppe d’Arimatea, salito su una scala, regge il corpo senza vita del Cristo, accolto nell’abbraccio straziato della “Mater Dolorosa”. In basso, Nicodemo è raffigurato nell’atto di estrarre, con una tenaglia, il chiodo dal piede destro di Gesù mentre, a sinistra, sono raffigurati San Giovanni e le due Marie.
Nella terza fila, tra gli apostoli Taddeo, Pietro, Filippo e Matteo è presente l’ “Anastasis” (la Discesa al Limbo): Cristo occupa il centro della scena, a sinistra sono presenti Adamo ed Eva, a destra due figure ieratiche, Salomone e Davide, dietro le quali si erge San Giovanni Battista vestito con un vello di pecora.
Nella quarta, i santi Tommaso, Bartolomeo, Nicola da Myra, Giacomo Minore e Andrea sormontano San Giovanni Battista, il profeta Elia e la Madonna in trono col Bambino Gesù, presenti nel quinto registro. Più in basso si trovano Sant’ Eustachio, San Giorgio, San Paolo ed il profeta Elia.
Gli apostoli sono raffigurati seduti sul trono, con i piedi nudi poggiati su un cuscino, nell’ atto di benedire “alla greca”, cioè con indice, medio e mignolo distesi, o “alla latina”; alcuni di essi recano un codice aperto o chiuso, altri un rotolo. San Giorgio e Sant’Eustachio, a cavallo, sono rappresentati come santi guerrieri.
In basso le formelle riprendono l’Albero della Vita, tema di origine mesopotamica, diffusosi in Occidente con la mediazione bizantina. Da una testa ferina, tra leoni seduti sulle zampe posteriori, si diparte un tralcio fogliaceo recante frutti simili a carciofi. La palmetta centrale è affiancata da due animali fantastici con corpo di drago, zampe di leone, testa di volpe e orecchie di coniglio.
Le teste leonine reggi-anello testimoniano la virata di Barisano verso modi stilistici più propriamente occidentali, che trasformano i classici leoni bizantini in animali terribili e spaventosi, dalle fauci digrignanti, posti a difesa del sacro ingresso.
Arcieri e figure impegnate nel gioco delle mazze completano il ciclo iconografico delle porte con cui vengono rappresentati, a partire dai registri più bassi, il mondo animale e vegetale (Albero della Vita), l’universo umano (arcieri e lottatori) e le gerarchie della Chiesa (Santi, Madonna e Cristo).
Nel corso dei secoli le porte subirono isolati interventi, nati dalla necessità di sostituire singoli componenti, come fasce e borchie, forse trafugati.
Nel Settecento alcune lacune vennero integrate in modo mimetico, mentre le borchie e le fasce prive di decorazioni del battente di sinistra, documentano, in modo riconoscibile e “moderno”, un intervento del tardo Ottocento.
© L.Buonocore, Il Duomo di Ravello – profilo storico-artistico di un monumento, 2004