LA RELIQUIA DEL SANGUE

La storia del culto di San Pantaleone si intreccia, fino a identificarsi, almeno per il Medio Evo nell’età moderna, con la vicenda delle numerose reliquie, vere o presunte, disseminate per tutto il mondo cristiano e propagate per ottenere la presenza protettiva del Santo. La reliquia del sangue, raccolto in un contenitore, divenne, quindi, la reliquia più preziosa del martire e rimase in un primo tempo nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, dove era al centro di un evento prodigioso che si verificava a cadenza annuale e che riguardava la consistenza fisica della sostanza contenuta nell’ampolla e soggetta ad una fluttuazione dal basso verso l’alto e viceversa, prova evidente dello stato non solido della stessa Tanto è confermato da un documento dell’imperatore Costantino Porfirogenito (912-959) e dal sermone di Ruperto di Deutz in lode del santo ottenuto nell’abbazia di Colonia tra il 1125 e il 1132, che cita “già Costantinopoli si venerava il sangue raccolto in una grossa ampolla lucidissima, che presentava due fasce orizzontali di colore rosso e bianco, fasce che anno per anno apparivano invertite: la mancata alternanza era interpretata come un presagio funesto”. Nel clima storico dei primi anni dell’XI secolo le reliquie di vari santi furono portati dall’Oriente da commercianti dell’Italia meridionale che percorrevano le rotte del Mediterraneo per traffici di ogni genere e sicuramente in seguito a questi spostamenti dovette giungere a Ravello la reliquia del sangue del martire.

Circa la presenza della reliquia per intero a Ravello fin dal primo tempo depongono a favore le testimonianze sulle continue donazioni del prezioso liquido che i Vescovi ravellesi hanno elargito a moltissime chiese nel corso dei secoli, almeno fino al 1617, quando il Vescovo Bonsio decise che nessuna porzione di sangue potesse essere più prelevata dall’ampolla per farne donazione a pena della “scomunica latae sententiae, ipso facto incurrenda”. L’arrivo dovrebbe essere ricondotto anteriormente all’anno 1112, in quanto sia una pergamena del Codice diplomatico amalfitano riporta la notizia della consacrazione di un altare al Santo con la ricognizione della reliquia da parte del Vescovo Costantino Rogadeo, sia i verbali della Sacra visita fatta da Mons. Savo de Pannicolis nel maggio del 1665 riportano che il Vescovo visitò l’ampolla con il sangue che appariva come di recente versato, la cui attribuzione al Santo di Nicomedia era autenticata da una pergamena a firma del Vescovo Rogadeo. Nelle pergamene di Amalfi e di Ravello è documentata la grande frequenza del nome di Pantaleone sin dal X secolo e l’esistenza di una chiesa a Ravello dedicata al santo già nel 1138. Infatti in un testamento del 6 aprile 1138 una donna disponeva che i suoi beni in denaro andassero alla chiesa di San Pantaleone. Risulta pure che nel 1288 esisteva una bella chiesa romanica dedicata al Santo Martire. La prima testimonianza scritta sulla liquefazione del sangue a Ravello risale al 1577, quando i verbali della Sacra Visita del Vescovo Fusco registrano il miracolo che avveniva in occasione di primi vespri della festa; il tono del resoconto permette di chiarire che non doveva trattarsi di un evento nuovo, ma di qualcosa che era già avvenuto in precedenza, dato che non lo si ricollega ad un fatto casuale ma ad un miracolo ricorrente. Il vescovo Giuseppe Saggese, inoltre, in una delle due lettere inviate al papa Innocenzo XI nel novembre 1686, afferma: ”questa città di Ravello tiene come suo principale patrono del santo martire Pantaleone e conserva un insigne reliquia… Al presente in detto mese di luglio si vide liquefatto ribollire come se fosse sparso presente dal suo Santissimo corpo”. Altre testimonianze sono conservate circa il miracolo perché dal 1898 il Capitolo dell’ex Cattedrale di Ravello decise di istituire il Libro dell’Insigne Reliquia, dove sono stati annotati i particolari delle liquefazioni, anche con interessanti osservazioni autoptiche che hanno avuto cadenza ciclica.

Un capitano inglese, Jan Grant, di fede anglicana, avendo osservato il fenomeno della liquefazione del sangue del Santo, ne descrisse una dettagliata relazione: “Il reliquario è un vaso di vetro a forma di disco. Nella parte inferiore contiene una sostanza oscura, spessa che, secondo la tradizione, è sabbia o terra sulla quale si sparse il sangue quando la testa del martire fu staccata dal tronco; vi è poi uno strato biancastro simile ad un nastro di sangue di colore bruno scuro, tutto opaco. Sopra un’altra striscia che sembra essere grasso solidificato, ed infine ancora al di sopra vi è una linea di minuscole bollicine secche che segnano il livello più alto della materia adiposa durante la liquefazione. Sulla superficie esterna si nota anche una larga fessura, la quale, incominciando un po’ al di sotto del livello del sangue, raggiunge la parte superiore del reliquario e si prolunga dall’altra parte. Tale fessura sembra sia stata prodotta dal seguente episodio: era il 1759, mentre il sangue era allo stato liquido, un canonico, per osservarne meglio il fenomeno, avvicinò la fiamma di una candela così vicino al vetro che subito si produsse l’incrinatura.
Il sangue cominciò a colare attraverso la fenditura, ma il canonico supplicò il Santo di far arrestare il disastro, ed, infatti, il sangue cessò di filtrare”. Il Sabato 19 luglio 1924, subito dopo la messa delle ore 6.00, l’arciprete invitò il capitano Grant a salire sulla piccola piattaforma dietro al reliquario per esaminarne il contenuto. Il Venerdì seguente, 23 luglio, alla medesima ora l’arciprete e il capitano si recarono nuovamente alla piattaforma. All’inizio non osservarono nessun cambiamento, si misero in ginocchio, l’arciprete cominciò a pregare e subito cominciò la liquefazione, e videro che la parte sinistra dello stretto nastro di sangue era divenuto di colore rosso rubino. Le gocce di colore bruno scuro situate nella parte esterna del reliquario divennero umide e quasi liquide. Il 26 luglio la liquefazione non era ancora completa, ma la mattina del 27 luglio il prodigio era completamente compiuto: “Le gocce, che prima erano indurite ed aderenti alla parte estrema del recipiente, erano divenute liquide”.