In corrispondenza dell’abside destra si erge l’altare dedicato a San Michele Arcangelo. Dedicato in origine alla Beata Vergine Assunta (il Capitolo vi celebrava la festa il 18 agosto), era stato fondato dalla famiglia Frezza con l’obbligo di due messe settimanali e di altri anniversari.
Uno splendido dossale cinquecentesco in legno intagliato e dorato accoglie il dipinto ad olio raffigurante San Michele Arcangelo che trafigge il demonio, eseguito nel 1583 dal pittore tardomanierista Giovanni Angelo D’Amato. La tavola, commissionata dalla Congrega dei Disciplinati di San Michele per la diruta chiesa di Sant’Angelo nuovo, in località Pianello, giunse in cattedrale nel 1658 su disposizione del vescovo di Ravello Bernardino Panicola che ne aveva ordinato il trasferimento a causa delle miserevoli condizioni dell’edificio confraternale.
I confratelli si erano però riservati il diritto di celebrare in questo altare la festa dell’apparizione di San Michele (8 maggio) mentre il Capitolo della cattedrale in quel giorno era tenuto a recarsi processionalmente fino alla sede della congrega ricevendo 15 carlini, come ricordava il canonico don Luigi Mansi richiamando le conclusioni capitolari.
Le colonne del dossale, scanalate e ornate da racemi vegetali, reggono un architrave con cimasa a volute e tralci vegetali che cingono un clipeo in cui è raffigurata la Vergine con il Bambino. Nella predella sono effigiate tre storie del culto micaelico: il toro che si ferma nel luogo dove sarebbe stato edificato il santuario sul Gargano, le apparizioni dell’arcangelo sulla mole Adriana (che pose fine alla peste nel 590) e a Tombelaine dove sorgerà un’abbazia. In basso sono due stemmi civici richiamati anche nel 1643 allorquando il vescovo Panicola aveva censito l’immagine «perpulcra cum insignis et scutis Civitatis Ravelli».
L’altare in marmi policromi, dai caratteristici intarsi in pietra e madreperla, reca ai lati due stemmi cittadini sormontati dalla figura dell’Arcangelo. Fu eseguito su commissione dei governatori dei nobili e del popolo Don Pietro di Fusco e Giuseppe Pisani che ne amministravano le rendite, come si evince dall’iscrizione posta alla base: «D · PIETRO DI FUSCO ET M · GIUSEPPE PISANI – GOVERNATORI DEI NOBILI E DEL POPOLO ANNO 1720».